Palazzo comunale Enrico Gagliardi
Vibo Valentia
16 dicembre 2011 - 29 gennaio 2012
Pittore, scultore e incisore, Hassan Vahedi è nato il 10 novembre 1947 a Teheran, dove si è diplomato in pittura e scultura alla locale Accademia di belle arti. Ha partecipato insieme a letterati ed artisti del suo Paese al gruppo "Talere Iran". Giunto in Italia alla fine del 1974, ha studiato pittura con Montanarini e Trotti e scultura con Fazzini e Greco all'Accademia di belle arti di Roma. Risiede e lavora a Roma con studio in via Sirte n.40.
Ha partecipato a numerose mostre collettive e personali in Italia ed all'estero.
In occasione della personale di Hassan Vahedi “Tratti estatici”, 1-19 marzo 1988, LIBROGALLERIA FERRO DI CAVALLO
via di Ripetta, 67
00186 Roma
“Tutte le tue immagini sono come una concentrazione luminosa; la luce non è naturalistica ma interiore, illuminazione della memoria.
I colori e la luce sono complessi, filtrati come sempre dal pensiero e dal sentimento.
Le grandi pennellate decise e franche fanno capire la velocità istintiva del gesto ma anche il suo giusto controllo e spiegano, più di ogni altra cosa, l'equilibrio spirituale, prima ancora che formale, a cui ogni opera aspira”.
G. Strazza
L’arte non è uno specchio in cui riflettere il mondo,
ma un martello con cui scolpirlo.
V. V. Majakovskij
La selezione di opere in mostra fa parte di una serie di sculture in legno realizzate da Hassan Vahedi nei primi mesi del 2011. Tre mesi di intenso lavoro.
Chi ha avuto la fortuna di frequentare lo studio di via Sirte ha potuto assistere al prender forma di queste immagini che sembrano uscir fuori dalle cornici: «pronte a girare il mondo da sole», dice Hassan mentre le osserviamo stipate in ogni centimetro quadrato di spazio disponibile.
Da sempre nella produzione artistica di Hassan la scultura si affianca o, meglio, si intreccia alla pittura e, anche in questo campo, un’attitudine rivolta a una sperimentazione infaticabile porta l’artista a confrontarsi con materiali, supporti e pratiche differenti, incrociando e confondendo tecniche artistiche e trucchi di bottega.
I materiali utilizzati hanno storie e provenienze diverse. Si tratta di legno ricavato da casse d’imballaggio che una società di trasporti scarica accanto allo studio di via Sirte, e poi pedane del mercato, pezzi di armadi, cornici, appendiabiti, porte, oggetti e arnesi diversi, conservati a volte per anni in attesa di prendere il loro posto, il posto giusto, in un’opera.
Il recupero di materiali quotidiani, di consumo e consumati, già usati per altro, è una pratica che fa da sempre parte del lavoro di Hassan. Materiali e oggetti non sono semplicemente assemblati. In un preciso equilibrio tra tecnica di bottega e poetica, lo scultore lavora a un recupero che è al tempo stesso una trasformazione radicale. Come nell’organizzazione dello spazio sulla tela, l’assemblaggio del materiale risponde all’esigenza di ampliare e rimodulare sempre di nuovo il proprio linguaggio artistico.
I pezzi vengono tagliati, sagomati, assemblati, scartavetrati, ricoperti di stucco, dipinti con smalti vivaci. Segno dell’incontro con la mano dell’artista che trasforma questi scarti da muti accessori del quotidiano in un’eccentrica polifonia di simboli, in una ‘cornice’ di rimandi cromatici, figurativi e simbolici attraverso cui affacciarsi su un quotidiano rivisitato e restituito sotto una forma inedita, al tempo stesso familiare e spaesante. La forma scomposta e ricomposta si apre a una lettura molteplice, a infinite possibilità di partecipazione e contatto, fuori da una cornice stabilita, tra l’occhio di chi guarda e l’opera senza titolo; l’immagine rivisitata risponde all’urgenza di veder oltre, dietro e attraverso il taglio, l’inquadratura, lo schema fisso e prefissato, standard, piatto. In linea con la poetica che attraversa tutta la sua opera, Hassan persegue un’incisività capace di restituire la cifra dell’urgenza che anima la sua ricerca. Urgenza di presa di parola e di replica. Urgenza di apertura, scomposizione, intervento, improvvisazione, stupore.
Il titolo scelto per la selezione intende rimandare a una molteplicità di variazioni sul tema che è possibile rinvenire nelle opere di Hassan. ‘Fuori cornice’ richiama allora il tratto indubbiamente eversivo rispetto ai modelli, tanto quelli amati quanto quelli contestati - poiché nulla è indifferente all’artista, «nulla lo lascia con le mani in mano», ogni occasione è scintilla che lo mette al lavoro ed ogni lavoro è messa in questione della cornice. Eppure, al tempo stesso, tappa d’una ricerca estremamente fedele.
E, allora, anche nella serie di sculture è possibile cogliere una ‘cornice’ che le lega l’una all’altra pur senza forzarle a un tratto codificato. Una sottile ma chiara linea poetica le accomuna. Sagome di volti, elementi geometrici e vegetali, forme sottratte al disuso. Come personaggi di un unico racconto, le singole opere vengono a comporre un affresco collettivo pur nell’oscillazione evidente da forme più dolci e intime ad altre decisamente aggressive, dal cromatismo intenso e i simboli nitidi, taglienti, geometrici. Nell’ampia gamma di variazioni formali che attraversa la serie vi è poi un ulteriore legame, materiale, tra le opere: il ritaglio, l’avanzo, lo scarto d’una scultura è il cuore da cui ne scaturisce un’altra, creando giochi di negativo e positivo, di pieni e vuoti.
‘Fuori cornice’ rimanda all’uso insolito della cornice in senso proprio, usata come base, sfondo, articolazione del corpo dell’immagine, come se davvero la ‘pittura’ uscisse dalla cornice per prendere posto prepotentemente davanti allo sguardo di chi osserva. In diverse sculture ricorre il tema, caro all’artista, dell’autoritratto, quasi fosse lui stesso a ‘uscir di cornice’: una sagoma di sghembo, che osserva a sua volta la scultura, o ciò che la circonda, o chi guarda.
Poi ci sono cose radicali, cose che tornano con forza dal passato, che riprendono forma in un’opera a distanza di tempo, riemergendo dalla memoria pittorica dell’artista e incontrando l’occhio che coglie l’associazione: la scomposizione di un volto, il taglio d’un profilo, una figura animale, un motivo geometrico, una combinazione cromatica, rimandi al tempo stesso formali e concettuali si riconnettono a un dialogo con le fonti aperte del passato: i grandi maestri moderni, i miniaturisti, l’arte orientale. E, ancora, i motivi floreali, le geometrie vegetali, il tema del germinare dall’umano del naturale e viceversa si intrecciano alle radici della storia biografica dello scultore. E’ qualcosa di inequivocabilmente legato alla cultura religiosa del Medio Oriente - trasposto in un approccio personale, ma tutt’altro che ‘privato’ – a dar corpo a un legame in cui riecheggiano i motivi della letteratura mistica, dove la natura non è semplicemente ‘dato naturale’ ma depositaria del senso della piccolezza umana. Una natura composta, stilizzata, raffinata, ‘miniata’ eppure avvolgente, viscerale, restituita come polo di una dialettica tra elemento naturale e artificiale in continua tensione, come fronte d’opposizione che non cede a un mondo costruito per il consumo, come radice inestinguibile e sotterranea, che ha la forza di resistere e crescere anche nelle condizioni più avverse, scavando nuovi cunicoli e, insieme, ripercorrendo antichi tracciati. Tutto questo è in opera nei lavori di Hassan. Il resto è arte.
Cora Presezzi, maggio 2011
La Natura è un tempio dove viventi colonne lasciano
talvolta uscire confuse parole; l'uomo vi passa attraverso
foreste di simboli che lo osservano con sguardi a lui familiari.
(C. Baudelaire, Corrispondenze, in I fiori del male)
A fa assaggi e arrembaggi di assemblaggi:
(E. Sanguineti, Scoazera, in Varie ed eventuali)
Le sculture in legno di Hassan Vahedi presentate in mostra sono l'esito di uno scrupoloso e originale lavoro di assemblaggio di materiali di recupero che, attraverso una raffinata tecnica pittorica e un uso spiccatamente simbolico del colore, riannodano eccentricamente pittura e scultura in una comune dimensione artistico-linguistica. Il riscatto di materiali e oggetti scartati o rifiutati assume, nelle opere di Vahedi, la forza di un gesto resistenziale contro la dispersione di tutto ciò che sfugge al dogma dell'utile e patisce l'indifferenza del mercato: residui di un mondo riluttante a custodire e serbare l'inutilizzato, materiali emarginati e invecchiati che il meticoloso lavoro dell'artista provvede a salvare, valorizzare e nobilitare. In questo modo i materiali di recupero, trattati, ricomposti, assemblati, saldati e dipinti con la sapiente cura di un miniaturista, acquistano la dignità e il valore di un'opera d'arte performativamente anticonformista. Nulla, dunque, di più distante sia dalle opere readymade – dove oggetti d'uso comune sono elevati al grado di opere d'arte dalla semplice scelta dell'artista di esibirli in uno spazio espositivo –, sia dagli oggetti a funzionamento simbolico dei surrealisti o, addirittura, dal gesto defunzionalizzante che caratterizza gli objets trouvés. Nelle opere di Vahedi il gesto non corrisponde a una mera decisione, ma si pluralizza in una progressione di gesti volti alla sublimazione del materiale trovato, tali da conferire valore all'opera in virtù del lavoro, tanto manuale quanto concettuale, che sono in grado di far penetrare al suo interno.
Nei lavori di Vahedi l'occidente contemporaneo – ovvero la realtà che abita da ormai molti anni –, offrendosi alla creatività dell'artista come un serbatoio inestinguibile d'immagini, pensieri, volti e colori –, si configura come la costante e imprescindibile fonte d'ispirazione, che trova, paradossalmente, la sua più efficace traduzione nell'azione immutabile e nella potenza arcaica dei simboli. È come se il potere simbolico di forme e colori fosse in grado di sovvertire l'intera iconografia del mondo contemporaneo, riattivando formule simboliche primitive cariche di energia animale (serpente, uccello), vegetale (sinuose piante rampicanti) e cromatica (rosso-fobia, verde-slancio vitale). Questi simboli, emissari del mondo interiore e dell'ancestrale e raffinata cultura persiana da cui Vahedi proviene, appaiono a tutta prima come presenze non polarizzate, accumuli di carica energetica che, depositati in una memoria collettiva, persistono nel tempo e assumono carica positiva o negativa solo nell'incontro con una nuova epoca e con una nuova geografia fisica ed emozionale. L'alfabeto di simboli che compone e reinventa anacronisticamente il linguaggio artistico con cui Vahedi ricontestualizza le sue personali immagini e impressioni del moderno, conferisce alle sue opere un'aura inequivocabilmente mistica, intrisa di elementi cromatici e formali mutuati anche dall'arte islamica. Al di là di ogni coinvolgimento religioso, il "simbolismo cromatico" di Vahedi riflette piuttosto la sua sensibilità politica: le superfici verdi che costellano alcune sue recenti opere sono, forse, un implicito rimando al "Movimento verde", nato in Iran a seguito delle elezioni presidenziali del 2009, simbolo islamico di rinascita, rivolta e speranza. Verde è anche il colore della vegetazione che s'inerpica longitudinalmente in una delle sue sculture –motivo che si ripete anche in molte sue opere pittoriche –, tracciando eleganti arabeschi e iniettando linfa vitale all'inerte materia lignea.
Se l'economia formale e l'aspetto emblematico di alcune sculture di Vahedi richiamano elementi eminentemente totemici – manifestazioni ibride di figure umane e segni astratti –, in altre spiccano prepotentemente elementi pienamente figurativi: inquietanti volti picassiani, dai cui occhi, resi simbolicamente indipendenti dal contesto, è possibile accedere alla visione di una realtà macabra e terrifica, ovvero la morte che impietosamente consuma lo sguardo di ogni soldato in guerra. Allo stesso modo il serpente, atavico e contraddittorio simbolo del mutamento e della ricorsività del tempo, dominando dall'alto una delle sculture, riflette attraverso il rosso del suo corpo-spirale la tonalità emotiva di un volto scisso tra il nero, che rimanda a un fondo oscuro preda costante delle paure, e il bianco che si appella al bisogno di dominarle.
Le opere di Vahedi mettono, inoltre, in evidenza il rapporto contrappuntistico che sussiste tra il pieno e il vuoto della materia scultorea: lo spazio non colmato dalla presenza delle forme emana anch'esso delle sorprendenti premesse morfologiche che conferiscono al vuoto la possibilità di contribuire al raggiungimento della compiutezza dell'opera che, però, mai stabilizza la molteplicità dei propri significati possibili in un titolo. Impresa ardua, se non impossibile, fissare e restituire il coacervo di esperienze inscritte nelle opere di Vahedi in un'unica definizione.
Marie Rebecchi 2011
Il faut travailler comme un ouvrier.
H. Matisse
Hassan presenta negli ampi spazi di Italia Film una centinaio di oli su tela, selezione dell'ultimo anno di attività.
Proprio della produzione di questo artista è l'evidenza su tela di ciò che lo agita: le passioni politiche, gli avvenimenti della storia, i costumi da cui è circondato. Con acutezza d'analisi e senso d'attualità Hassan lavora la materia quotidiana, non per questo trascurando la ricerca e l'innovazione pittorica. La superficie pittorica viene ad aderire alle urgenze dell'artista come un tutt'uno. L'artista racconta così il suo lavoro:
Il mio linguaggio è altamente pittorico, cerco di raccontare il vero e non di illustrare solo per fare un bel quadro. (...) è ovvio che si fa una scelta: ci si interessa di tutto, ma al momento di operare si privilegia un aspetto rispetto a un altro. A me interessa tutto: politica, letteratura, musica, cinema...ma mi rendo conto che quando sento di guerre e ingiustizie sento dentro di me una rabbia che trasferisco nel lavoro, rispondendo con velocità e violenza, per dar voce a chi è contro (...). In questo caso la mia pittura è molto veloce, quasi espressionista. Basta solo un accenno di un elemento riconoscibile per chiudere la composizione e dire tutto ciò che desideravo dire.
La grande e la micro storia, con guerre, fervori religiosi, oppressioni e rivolte vengono lette attraverso una lente concreta che tutto sovverte: da acuto osservatore interno al cuore dell'occidente, Hassan restituisce accadimenti e costumi attraverso il lavoro delle forme. Hassan dipinge con urgenza, in maniera instancabile e appassionata, attingendo con libertà alla propria tradizione – tradizione di armonia, semplicità e equilibrio – e ai punti più alti delle avanguardie europee novecentesche.
I lavori presentati a Italia Film, in particolare, sono l'esito di un percorso pittorico che ammicca all'astrattismo, giocandovi con disinvoltura e forza, e si trovano naturalmente a rendere conto del lavoro quotidiano di Hassan, lavoro da operaio, di raccolta, semplificazione e ricomposizione di immagini televisive, pubblicitarie, frame di massa.
Queste icone, tratte e strappate alla quotidianità brutale del marchingegno capitalistico – su una tela vediamo un tritacarne! -, vengono montate, come fossero ingranaggi rinnovati, su forme astratte, fondi di grande impatto e di forte attualità visuale.
Leyla Vahedi
ottobre 2010
gabriella, leyla e cora |
locandine artigianali realizzate da leyla |
leyla, marie e alice, davanti alla fotografia di hassan al lavoro realizzata da gabriella caponigro |
gabriella e leyla |
gabriella di fronte alla sua fotografia |
Prossimo appuntamento
finissage
venerdì 20 maggio
ore 21
in questa settimana la mostra sarà visitabile su appuntamento tutti i giorni
scrivere a straccialacarta@gmail.com